Comunicare in oncologia richiede empatia e ascolto. Una guida utile per stare vicino a chi vive una malattia oncologica.

Comunicare in oncologia è un atto delicato ma fondamentale, perché tocca le emozioni profonde di chi affronta una diagnosi di tumore. In questi momenti, non si parla solo di cellule impazzite, terapie o prognosi. Si parla di vite che cambiano, di equilibri che si rompono, di paure, speranze e silenzi. Le parole – e i gesti – acquistano un potere enorme. Possono ferire o guarire. Possono creare distanza o vicinanza. Ecco perché la comunicazione, quando è autentica, diventa una vera forma di cura.

Comunicare: un atto terapeutico

Per un medico, un’infermiera, un familiare o un amico, comunicare con una persona che ha ricevuto una diagnosi oncologica non è mai semplice. La tentazione di evitare l’argomento, di “non dire troppo”, o al contrario di invadere lo spazio dell’altro con un eccesso di consigli o rassicurazioni, è comprensibile. Ma la comunicazione, se usata con consapevolezza, può diventare un vero strumento di cura.

Secondo l’Istituto Nazionale del Cancro degli Stati Uniti (Epstein & Street, 2007), una comunicazione efficace migliora l’aderenza terapeutica, riduce l’ansia e accresce la fiducia nei confronti del personale sanitario. Anche la letteratura scientifica italiana sottolinea come un approccio empatico, rispettoso e centrato sul paziente favorisca un migliore adattamento alla malattia e perfino una migliore qualità della vita.

Parlare, ma come? Il ruolo della relazione

La relazione è al centro di tutto. Comunicare bene non significa solo “dire cose giuste”, ma costruire un legame. Questo vale per i professionisti della salute, ma anche per i familiari e gli amici. Ciò che conta davvero non è avere una risposta pronta, ma essere presenti, autentici e disposti ad ascoltare.

Immagine promozionale del corso di Psiconcologia e sostegno emotivo nel percorso di cura, con la Dott.ssa Marilù Mengoni e il Dott. Paolo Bellingeri. Il corso approfondisce come comunicare in oncologia con empatia, presenza e consapevolezza.

Comunicare in oncologia: per i professionisti sanitari

Per i medici e il personale sanitario, la comunicazione è una competenza clinica a tutti gli effetti. Il protocollo SPIKES (Baile et al., 2000), ampiamente utilizzato nella comunicazione delle cattive notizie, suggerisce sei passaggi fondamentali: creare il contesto giusto, valutare quanto il paziente vuole sapere, fornire le informazioni, esplorare le emozioni, offrire supporto e riassumere il piano condiviso per i passi successivi. Non si tratta solo di cosa dire, ma di come dirlo: tono, linguaggio del corpo, silenzi empatici sono elementi chiave.

Alcune strategie

1. Ascolto attivo e validazione emotiva

  • Mantenere il contatto visivo.
  • Riformulare ciò che il paziente esprime, per mostrare che si è compreso.
  • Validare le emozioni: “Capisco che sia molto difficile da affrontare.”

2. Comunicare con chiarezza e senza tecnicismi

  • Evitare termini complessi o sigle non spiegate.
  • Fornire spiegazioni progressive, lasciando tempo per le domande.

3. Essere onesti, ma con sensibilità

  • Non “addolcire” la verità fino a renderla ambigua.
  • Adattare le informazioni al bisogno reale del paziente in quel momento (strategia del “gradual disclosure”, ovvero fornire le informazioni mediche in modo progressivo, adattandole alla capacità del paziente di riceverle).

4. Coinvolgere il paziente nel processo decisionale

  • Rispettare il diritto del paziente all’autonomia.
  • Porre domande aperte: “Cosa è importante per lei in questo momento?”

Per i familiari e gli amici

Chi sta accanto a una persona malata spesso si trova in un territorio sconosciuto. Il desiderio di “dire la cosa giusta” può trasformarsi in frasi di circostanza o, peggio, in negazione del dolore dell’altro: “Non pensarci”, “Andrà tutto bene”, “Devi essere forte”. Ma chi vive una malattia oncologica ha bisogno, più che di ottimismo forzato, di autenticità. A volte è sufficiente un semplice: “Sono qui per te. Vuoi parlarne?”.

Essere presenti non significa avere tutte le risposte, ma esserci con ascolto e rispetto. Evitare la tentazione di “curare” le emozioni altrui può sembrare controintuitivo, ma è spesso il gesto più terapeutico.

Comunicare in oncologia: il peso delle parole, il potere del silenzio

Le parole che usiamo modellano la percezione della realtà. Dire “lotta contro il cancro” può alimentare un’idea di fallimento se la malattia avanza. Parlare invece di “percorso”, “trattamento”, “accompagnamento” sposta il focus sulla dimensione umana e relazionale.

Anche il silenzio, se pieno di presenza, può essere potente. In certi momenti, le parole non servono. Serve solo esserci, con uno sguardo, una carezza, un respiro condiviso.

Empatia: non un optional, ma una scelta quotidiana

L’empatia è la capacità di sentire con l’altro, senza giudicarlo né volerlo cambiare. In oncologia, è una delle risorse più preziose. Non significa identificarsi con il dolore dell’altro, ma riconoscerlo e accoglierlo. I pazienti lo percepiscono: si sentono visti, ascoltati, non più soli. E anche i familiari, spesso in balia di emozioni contrastanti, traggono beneficio da relazioni in cui possono esprimere paure e fragilità senza sentirsi giudicati.

Conclusione: la comunicazione come cura reciproca

In un contesto complesso come quello oncologico, comunicare bene è una necessità. Un gesto di cura profonda, che unisce professionisti e famiglie in un cammino fatto di ascolto, verità e rispetto. Ogni parola può diventare un ponte, ogni gesto una medicina. Prendersi cura non è solo prescrivere o assistere. È anche – e forse soprattutto – saper essere presenti con autenticità.

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Fonti:

  • Epstein RM, Street RL Jr. (2007). Patient-Centered Communication in Cancer Care: Promoting Healing and Reducing Suffering. NIH.
  • Baile WF, Buckman R, Lenzi R, et al. (2000). SPIKES—A Six-Step Protocol for Delivering Bad News. The Oncologist, 5(4), 302–311.
  • Back AL, Arnold RM, Tulsky JA. (2009). Mastering Communication with Seriously Ill Patients. Cambridge University Press.